TRIBUNALE DI VELLETRI 
                        Sezione Unica Penale 
 
    Ordinanza di rimessione alla Corte  costituzionale  di  questione
incidentale di legittimita' ex art. 23 legge n. 87 del 1953. 
    In composizione monocromatica,  in  persona  del  Giudice,  dott.
Mario Coderoni, nel  procedimento  penale  iscritto  al  N.R.G.  DIB.
1831/14 (RGNR 1448/07), nei confronti di: 
        Z... G....,  nato a  ...  in  data  ...,  difeso  di  fiducia
dall'Avv. Tullio Padovani; 
        G... C....,  nato a  ...  in  data  ...,  difeso  di  fiducia
dall'Avv. Mario Gebbia; 
        P... G....,  nato a  ...  in  data  ...,  difeso  di  fiducia
dall'Avv.ti Pasquale Giampietro e Marco Fagiolo; 
        C... R....,  nato a  ...  in  data  ...,  difeso  di  fiducia
dall'Avv.ti Pasquale Giampietro e Stefania Giampietro. 
    Imputati Z.G., G.C. P.G. C.R. 
    A) del reato p. e p. dagli artt.  113,  449,  comma  1  (in  rel.
all'art. 434), 452, comma 1 n. 3 (in rel. all'art. 439) c.p. perche',
nelle rispettive qualita' di cui infra in cooperazione colposa tra di
loro e con C e  P.  (deceduto),  cagionavano  per  colpa  generica  e
specifica di cui  infra  un  disastro  ambientale,  contaminando siti
della Valle del Sacco destinati ad insediamenti  abitativi,  agricoli
ed allevamento, derivandone pericolo  per  la  pubblica  incolumita',
segnatamente per la pubblica salute,  nonche'  l'avvelenamento  delle
acque  del  Fiume  Sacco  destinate  alla  irrigazione  dei   terreni
circostanti ed all'abbeveraggio degli animali  bovini  ed  ovini  ivi
allegati  con conseguente   avvelenamento   di   sostanze   destinate
all'alimentazione umana (latte), prima che fossero distribuite per il
consumo. In particolare:  
         G... P... (deceduto), in qualita' di  veterinario  ufficiale
dell'ASL RM/B presso lo stabilimento della Centrale del Latte di Roma
responsabile del controllo del Latte di Roma, omettendo i controlli e
le verifiche in violazione delle disposizioni dettate dalla normativa
vigente (art. 12 d.P.R. 54/97 prescrive, tra l'altro che il  servizio
veterinario  competente  sottopone   a   controllo   permanente   gli
stabilimenti di trattamento trasformazione del latte verifica che  le
procedure  di  autocontrollo  siano  costantemente  e   correttamente
eseguite e procede a regolari verifiche dei risultati  dei  controlli
nonche' predispone una relazione sulla verifica dei  risultati  delle
analisi: art. 13 d.P.R. 54/97 - che prescrive  tra  l'altro,  che  il
Servizio  Veterinario  competente  controlla   l'applicazione   delle
prescrizioni  previste  dal  presente  regolamento  e  l'adozione  di
procedure di autocontrollo - punto n. 11  Circolare  Ministero  della
Sanita' n. 16 del 1° dicembre 1997 -che prevede che  -il  sistema  di
autocontrollo deve comprendere anche la ricerca di tutte le  sostanze
che possano alterare o rendere pericoloso il latte od  i  prodotti  a
base di latte e che  compete  al  Servizio  di  Medicina  Veterinaria
dell'ASL  controllare  che  le  procedure  di   autocontrollo   siano
costantemente e correttamente eseguite e verificare i  risultati  dei
controlli), non rilevava la presenza nel latte  conferito  da  alcuni
allevatori della zona di Colleferro, Segni, Gavignano  alla  Centrale
del Latte di Roma di sostanza inquinante (beta-esaclorocicloesano) in
quantita' superiore ai limiti consentiti sebbene i risultati positivi
delle analisi, effettuate nel dicembre 2003 e nel giugno 2004 fossero
a sua disposizione fin dal luglio 2004 non segnalando di  conseguenza
alcunche' ai competenti organi sanitari e consentendo  di  fatto  che
gli animali  da  latte  allevati  in  prossimita'  del  Fiume  Sacco,
inquinato dalla predetta sostanza  continuassero  ad  abbeverarsi  ed
alimentarsi con foraggio ed  acqua  contaminate  producendo,  a  loro
volta, latte contaminato: 
        Z...G... in qualita' di direttore  dello  stabilimento  della
Centrale del Latte di Roma, in violazione dell'art. 13, comma 2  e  3
d.P.R. 54/97 (che prevede, tra l'altro,  che  il  responsabile  dello
stabilimento di  trattamento  o  di  trasformazione  del  latte  deve
predisporre un sistema di autocontrollo in esito al quale  si  devono
ritirare dal mercato, in caso di rischio immediato per la  salute,  i
prodotti non conformi e si deve dare  comunicazione  immediata  della
natura del rischio e delle informazioni necessarie  per  identificare
il lotto al Servizio Veterinario) ometteva,  dopo  aver  appreso  nel
luglio 2004 dei  risultati  positivi  delle  analisi  effettuate  nel
dicembre 2003 e giugno 2004 sul latte conferito da taluni  allevatori
in    merito     alla     presenza     di     sostanza     inquinante
(beta-esaclorocicloesano),  di  darne  comunicazione  ai   competenti
organi   sanitari,   limitandosi   a   sospendere   informalmente   i
conferimenti di latte provenienti da un'azienda locale; 
        G...C...  in  qualita'  di   direttore   dello   stabilimento
industriale della C.... s.r.l. di Colleferro dal 1° marzo  2001  fino
al 31 maggio 2005, con mandato a sovrintendere dell'efficienza  degli
impianti ed  al  loro  stato  di  manutenzione  e  ad  assicurare  la
scrupolosa osservanza della  normativa  in  materia  ambientale,  non
predisponeva adeguate misure di sicurezza  e/o  adeguati  sistemi  di
controllo per evitare che  i  residui  dei  processi  di  lavorazione
chimica  effettuati  all'interno   dello   stabilimento   industriale
contaminassero i terreni e le acque circostanti inquinati  attraverso
la immissione continua di  sostanze  pericolose  (esaclorocicloesano,
minerali pesanti es. arsenico, piombo, mercurio, cadmio  rame,  zinco
etc.-), veicolate dalla rete  dei  collettori  interrati  delle  c.d.
acque bianche fino al Fosso Cupo e da  qui  -al  Fiume  Sacco,  senza
alcun trattamento di depurazione  con  conseguente  inquinamento  dei
terreni   nonche'   delle   acque   e    del    foraggio    destinato
all'alimentazione degli animali da latte allevati in prossimita'  del
Fiume Sacco; 
        P.  G.,  C.  R.,  in  qualita'  rispettivamente   di   legale
-rappresentante)  e  responsabile  tecnico  del  Consorzio   CSC   di
Colleferro, titolare dello scarico  finale  del  collettore  generale
delle c.d. acque  bianche,  non  predisponevano  adeguate  misure  di
sicurezza  e/o  adeguati  sistemi  di   controllo   e/o   trattamento
depurativo sebbene sollecitati in tal senso dalla Provincia  di  Roma
in occasione della  richiesta  di  rinnovo  dell'autorizzazione  allo
scarico di acque reflue industriali (nella parte in cui si invita  il
CSC a raccogliere le c.d. «acque  di  prima  pioggia»  in  una  vasca
appositamente dedicata), per evitare che  le  acque  veicolate  dalla
rete dei collettori  interrati  delle  c.d.  acque  bianche,  che  si
diramava nel sottosuolo dell'insediamento industriale di Colleferro e
dunque     potenzialmente     contenente     sostanze      pericolose
(esaclorocicloesano e minerali pesanti vari - es.  arsenico,  piombo,
mercurio, cadmio,  rame,  zinco  etc.-)  provenienti  dall'immissione
sversamento  infiltrazione  etc..  di   residui   dei   processi   di
lavorazione industriale, si riversassero nel Fosso  Cupo  atttraverso
una paratia mobile che veniva lasciata sempre aperta (e chiusa solo a
seguito di prescrizione d'urgenza emessa dalla Provincia di  Roma  in
data 23 maggio 2005)  e  da  qui  al  Fiume  Sacco,  con  conseguente
inquinamento delle acque e del foraggio  destinato  all'alimentazione
degli animali da latte allevati in prossimita' del Fiume Sacco. 
    In Colleferro, Segni, Gavignano,  fino  al  dicembre  2008  (data
degli ultimi campionamenti risultati  positivi,  da  parte  dell'ARPA
Lazio); 
    Nel quale sono costituiti parti civili e  responsabili  civili  i
soggetti di cui all'allegato elenco. 
    Decidendo  sull'istanza  delle  difese  degli  imputati   e   dei
responsabili civili, di rimessione alla  Corte  costituzionale  della
questione di legittimita' dell'art. 157 comma 6,  codice  penale  per
violazione dell'art. 3 Cost; 
    Sentite le parti all'udienza del 22 ottobre 2015; 
    Lette le istanze scritte e le memorie  autorizzate  ex  art.  121
c.p.p. depositate dal PM e da alcune difese delle parti civili. 
 
                               Osserva 
 
    Le difese degli imputati e dei responsabili  civili,  all'udienza
del 22  ottobre  2015,  hanno  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 157,  comma  6,  c.p.  nella  parte  in  cui
prevede il raddoppio dei termini di  prescrizione  per  il  reato  di
disastro colposo ex art. 449 c.p., per violazione dell'art.  3  Cost.
e, in particolare, del principio  di  uguaglianza  e  ragionevolezza,
determinando tale norma un  regime  di  prescrizione  uguale  tra  la
fattispecie dolosa di cui all'art. 434 c.p, e quella  colposa  punita
dall'art. 449 c.p., pur  essendo  quest'ultima  meno  grave  e  cosi,
complessivamente, comportando un trattamento  proporzionalmente  piu'
deleterio  per  una  fattispecie  meno  grave;  le   difese   istanti
richiamano, quanto alla fondatezza della  questione,  le  motivazioni
dell'ordinanza n. 18122 del 29 aprile 2015, con la quale  la  sezione
IV penale della Corte di Cassazione ha gia'  rimesso  tale  questione
alla Corte costituzionale (ordinanza notificata alla Corte in data 18
giugno 2015, rubricata al n. 237/15 degli  atti  di  promovimento  di
giudizio costituzionale); quanto alla  rilevanza -  alla  luce  anche
dell'ordinanza  pronunciata  dal  Giudice  del  dibattimento  proprio
all'udienza del 22 ottobre 2015,  con  la  quale  e  stata  rigettata
l'istanza di immediata declaratoria ex art. 129 c.p.p. di  estinzione
del  reato  contestato  per  prescrizione  -  hanno   sostenuto   che
l'eventuale accoglimento della questione proposta  comporterebbe  che
gia' alla data odierna si sarebbe maturata la prescrizione del  reato
contestato  per  tutti  gli  imputati,   dovendosi   in   particolare
anticipare la data indicata nel capo di imputazione (dicembre 2008) a
data non successiva al maggio del 2005. 
    Sulla non manifesta infondatezza della questione. 
    Occorre  preliminarmente  chiarire  come  il  vaglio  sulla   non
manifesta   infondatezza   di   una   questione    di    legittimita'
costituzionale non equivale ad una valutazione piena nel merito della
fondatezza della questione, valutazione quest'ultima  riservata  alla
Corte costituzionale e non certo al giudice a quo, ma si  risolve  in
una verifica prima facie della ammissibilita' della questione e della
sua serieta'; in altre parole, perche' una questione di  legittimita'
costituzionale sia non manifestamente infondata  e'  sufficiente  una
delibazione di  un  mero  dubbio  di  costituzionalita'  della  norma
impugnata e non gia' una verifica approfondita della probabilita'  di
accoglimento  o  meno  della   questione   da   parte   del   Giudice
Costituzionale. 
    Fatta questa doverosa  premessa,  la  questione  sollevata  dalle
difese degli imputati e dei responsabili civili non e' manifestamente
infondata; posto che la stessa  e'  gia'  stata  rimessa  alla  Corte
costituzionale dalla recente ordinanza della Cassazione sopra  citata
(n. 237 del 29 aprile 2015), con motivazioni condivisibili, si rileva
soprattutto  come  la  norma  impugnata  sia  stata  gia'  dichiarata
costituzionalmente illegittima  dalla  Corte  delle  Leggi,  con  una
recente sentenza (la n. 143 del 28  maggio  2014),  limitatamente  al
raddoppio del termine di prescrizione  previsto  per  il  delitto  di
incendio colposo, nella misura  in  cui  determinava  addirittura  un
decorso della prescrizione piu'  lungo  per  la  fattispecie  colposa
rispetto a quella dolosa di cui all'art. 423 c.p.. 
    Invero il caso deciso dalla Corte con la pronuncia citata non era
in tutto identico a quello oggetto  del  presente  processo,  poiche'
nella specie la norma dell'art. 157 comma 6 c.p.  determina  soltanto
che la fattispecie colposa abbia un termine di prescrizione uguale  a
quella dolosa; infatti, il disastro doloso (nell'ipotesi  di  cui  al
secondo comma dell'art. 434 c.p., che e l'omologa di quella  colposa,
dal momento che  prevede  anch'essa  il  verificarsi  dell'evento,  a
differenza dell'ipotesi del primo comma, che anticipa la  punibilita'
penale anche ai fatti di mero tentativo di disastro) e' punito con la
pena massima di dodici anni di  reclusione,  sicche'  il  termine  di
prescrizione ordinario  ex  art.  157  c.p.  e'  di  pari  durata  ed
elevabile fino ad un quarto ex art. 161  c.p.  in  presenza  di  atti
interruttivi, potendo cosi giungere  fino  a  15  anni;  il  disastro
colposo (art. 449 c.p.) e' invece punito con la  pena  massima  della
reclusione fino a  cinque  anni,  che  corrisponderebbe,  secondo  la
regola generale, ad un termine di prescrizione di 6  anni,  elevabile
in presenza di atti interruttivi fino ad un massimo di  7  anni  e  6
mesi; invece, con l'applicazione  della  norma  di  cui  al  comma  6
dell'art. 157 c.p., il termine  ordinario  diventa  di  dodici  anni,
estensibili fino a  quindici  con  eventuali  atti  interruttivi.  La
diversita' delle due ipotesi,se impedisce da  un  lato  di  estendere
automaticamente la declaratoria di illegittimita'  costituzionale  di
cui alla sentenza n. 143 del 2014 anche al caso  in  esame,  tuttavia
non  impedisce  di  analizzare  il  caso  stesso  alla   luce   delle
motivazioni poste alla base di tale decisione, le quali  appaiono  di
portata generale e tali da  potersi  applicare  anche  a  fattispecie
analoghe. 
    In primo luogo e' priva di pregio l'argomentazione -  esposta  in
alcune delle memorie difensive delle parti civili -  secondo  cui  la
questione sarebbe inammissibile perche' si tradurrebbe nel  sindacato
di una scelta discrezionale  del  legislatore,  precluso  anche  alla
Corte  delle  Leggi;  sul  punto  la  giurisprudenza   costituzionale
(confermata proprio dalla citata sentenza  143/14)  e'  assolutamente
consolidata nell'affermare che la  discrezionalita'  del  legislatore
incontra un limite invalicabile nel principio di uguaglianza  sancito
dall'art. 3 Cost. e nella declinazione particolare di tale principio,
costituita dal criterio di ragionevolezza, che impone non soltanto di
trattare  in  maniera  uniforme  fattispecie  uguali,  ma  anche,  al
contrario, di sottopone a trattamenti differenziati  fattispecie  tra
loro diverse, in base ad un criterio di proporzionalita'  che  a  sua
volta costituisce la traduzione in  concreto  di  quel  principio  di
uguaglianza sostanziale, espressamente sancito dallo  stesso  art.  3
della Costituzione. 
    In materia penale, piu' in particolare, tale principio si traduce
nella  necessita'  per  il  legislatore  -  pur  libero   nella   sua
discrezionalita' di stabilire il diverso disvalore  da  attribuire  a
determinate condotte di rilevanza penale  -  di  graduare  il  regime
sanzionatorio in maniera proporzionale alla  diversa  gravita'  delle
fattispecie in modo da evitare palesi  disparita'  di  trattamento  o
sperequazioni tra situazioni omogenee. 
    Ebbene, sotto questo profilo, la Corte costituzionale ha  innanzi
tutto ribadito come il regime  della  prescrizione  del  reato  abbia
natura sostanziale e non processuale e  come  contribuisca  quindi  a
determinare  il  complessivo   trattamento   sanzionatorio   cui   e'
sottoposta una fattispecie delittuosa. La Corte  ha  poi  evidenziato
come da sempre  il  termine  di  prescrizione  e'  stato  commisurato
all'entita' della pena edittale stabilita per il  reato  e  che  tale
legame si sia reso ancor piu' stringente con la disciplina introdotta
dalla legge 251  del  2005,  la  quale,  al  precedente  criterio  di
individuazione dei termini di prescrizione per "fasce di  reati",  ha
sostituito il criterio unico secondo cui il termine  di  prescrizione
e' pari alla pena massima edittale  (con  la  sola  eccezione  per  i
delitti puniti con pena massima inferiore ai sei anni di reclusione). 
    La Consulta, ancora, ha evidenziato  come  il  legislatore  possa
discrezionalmente  prevedere  deroghe  a   tale   regime   ordinario,
stabilendo un piu' rigoroso regime della prescrizione «sulla base  di
valutazioni correlate alle specifiche caratteristiche degli  illeciti
considerati  e  alla   ponderazione   complessiva   degli   interessi
coinvolti», giustificandolo  «sia  dal  particolare  allarme  sociale
generato da alcuni tipi di reato, il quale comporti  una  "resistenza
all'oblio" nella coscienza comune piu' che proporzionale  all'energia
della risposta sanzionatoria; sia dalla speciale  complessita'  delle
indagini, richieste per il loro  accertamento  e  dalla  laboriosita'
della verifica dell'ipotesi  accusatori  (in  sede  processuale,  cui
corrisponde un  fisiologico  allungamento  dei  tempi  necessari  per
pervenire alla sentenza definitiva»; ma ha anche ribadito il concetto
gia' in precedenza richiamato,  ovvero  che  nell'esercizio  di  tale
discrezionalita' il legislatore e' pur sempre vincolato  al  rispetto
del principio di uguaglianza e di ragionevolezza. 
    Da  queste  premesse,  la  Corte  delle  Leggi  ha  concluso  per
l'illegittimita'  dell'art.  157,  comma   6,   c.p.   in   relazione
all'incendio  colposo,  ravvisando  una   evidente   ed   irrazionale
disparita' di trattamento, laddove il delitto colposo era  sottoposto
ad un termine di prescrizione  piu'  lungo  dell'omologa  fattispecie
dolosa, sicuramente piu' grave, sia da un punto di vista  ontologico,
sia anche legislativo, vista  la  differenza  di  pena  edittale;  in
particolare ha ritenuto come le eventuali ragioni giustificatrici  di
un regime derogatorio a quello ordinario della prescrizione,  possono
trovare  spazio  «soltanto  quando  si  tratti  di  figure  criminose
eterogenee in rapporto al bene protetto o, quantomeno, alle modalita'
di aggressione: non quando si discuta di  fattispecie  identiche  sul
piano oggettivo, che si differenziano  tra  loro  unicamente  per  la
componente psicologica». 
    Essendo questi gli snodi argomentativi fondanti la  decisione  n.
143 del 2014, e' evidente come simili argomentazioni possano  trovare
spazio anche in relazione al raddoppio  dei  termini  previsto  dallo
stesso art. 157, comma 6, c.p. per i delitti di  disastro  colposo  e
non possano escludere il dubbio sulla conformita' di tale norma  alla
Carta Fondamentale. 
    Infatti, anche in questo caso ci troviamo di fronte a fattispecie
delittuose  strutturalmente  identiche  quanto  alla   tipologia   di
condotta e di evento, che si differenziano  tra  loro  esclusivamente
per il diverso atteggiarsi dell'elemento soggettivo e, quindi, per la
diversa gravita'. Ovviamente l'ipotesi colposa e' molto meno grave di
quella dolosa, come peraltro e' confermato  proprio  dal  trattamento
sanzionatorio previsto dallo stesso legislatore, che  si  traduce  in
una pena edittale massima, per la fattispecie colposa, inferiore alla
meta' di quella stabilita per il delitto doloso. 
    Ebbene, a fronte della notevole differenza  di  disvalore  penale
manifestata dallo stesso legislatore con le  pene  edittali  previste
per le due diverse ipotesi delittuose,  appare  quindi  legittimo  il
dubbio sulla ragionevolezza di una norma che stabilisce un regime  di
prescrizione identico per entrambe  le  ipotesi,  finendo  cosi'  per
sottoporre   la   fattispecie   meno   grave   ad   un    trattamento
proporzionalmente deteriore rispetto a quella piu' grave. 
    Infatti,  le  ragioni  che  la  stessa  Corte  costituzionale  ha
individuato come possibili giustificazioni di una  deroga  al  regime
ordinario della prescrizione, legittimano sicuramente un  trattamento
differenziato e deteriore dei delitti di disastro o  di  inquinamento
ambientale rispetto ad altri delitti comuni anche se  sanzionati  con
pene edittali uguali o simili; in questo caso si puo' ben argomentare
la ragionevolezza di un termine di prescrizione piu' elevato anche  a
parita' di pena, in base al maggior allarme sociale destato  da  tali
condotte   o   alla   maggiore   complessita'   delle   indagini    e
dell'acquisizione delle prove necessarie per il loro accertamento. 
    Ma una simile argomentazione perde di valore  nel  raffronto  tra
fattispecie strutturalmente identiche quanto agli elementi  oggettivi
del reato; in questo caso, infatti, non puo' certo sostenersi che  il
trattamento,    formalmente    uguale,    ma    sostanzialmente     e
proporzionalmente deteriore del delitto colposo rispetto  al  delitto
doloso  sia  giustificato  dal  maggiore  allarme  sociale  o   dalla
complessita' delle indagini necessarie per l'accertamento del  reato,
dal  momento  che  sotto  questo  aspetto  le  due  ipotesi  non   si
differenziano in alcun modo (ed anzi forse  i  delitti  dolosi  hanno
conseguenze piu' gravi, quanto meno  sotto  il  profilo  dell'allarme
sociale). 
    Per meglio spiegare il concetto appena esposto, si puo' osservare
come la norma in commento avrebbe sicuramente superato  positivamente
il vaglio di costituzionalita' - anche in fase di  delibazione  della
manifesta infondatezza della  questione  di  legittimita'  -  laddove
avesse previsto un raddoppio dei termini di prescrizione per tutte le
ipotesi delittuose di disastro ambientale, sia dolose sia colpose; in
tal caso, infatti, si sarebbe manifestata e giustificata la deroga al
regime ordinario di prescrizione per tale tipologia di reati rispetto
agli altri delitti comuni, ritenuti di minore allarme  sociale  o  di
minore  complessita',  mantenendo  pero'  anche  la   differenza   di
trattamento - nell'ambito della medesima tipologia di reati - tra  la
fattispecie dolosa, piu' grave e quella colposa, meno grave. 
    Cosi' ragionando, non vale  quindi  ad  escludere  in  radice  il
dubbio di legittimita' costituzionale il fatto  che  -  a  differenza
della fattispecie dell'incendio  -  in  questo  caso  il  termine  di
prescrizione sia uguale per entrambe le ipotesi, perche' comunque  si
ravvisa una sproporzione tra i due regimi, derivante dallo squilibrio
tra  il  trattamento  sanzionatorio,  nel  quale  il   rapporto   tra
fattispecie dolosa e colposa e' piu' del doppio, e quello del termine
di prescrizione, identico per entrambe. 
    Sulla rilevanza della questione nel presente giudizio. 
    La rilevanza della questione nel presente giudizio e' di  palmare
evidenza, sol che si consideri come questo Giudice  -  con  ordinanza
pronunciata alla scorsa udienza del 22 ottobre 2015 - ha rigettato la
richiesta delle difese di immediata declaratoria ex art.  129  c.p.p.
di estinzione del  reato  contestato  per  intervenuta  prescrizione,
fondandosi in parte proprio sulla norma dell'art. 157 comma 6 c.p.  e
sul termine massimo di 15 anni in essa stabilito. 
    Piu' precisamente,  come  rilevato  nella  citata  ordinanza,  le
vicende oggetto del presente processo si pongono in un arco temporale
a cavallo tra le due discipline della  prescrizione  succedutesi  nel
tempo, coinvolgendo in parte condotte avvenute prima dell'8  dicembre
2005 (data di entrata in vigore della L. n. 251 del 5  dicembre  2005
c.d. Cirielli) ed in parte condotte successive. 
    Per  quanto  riguarda  le   condotte   antecedenti,   tali   sono
sicuramente quelle contestate  all'imputato  Carlo  Gentile,  la  cui
posizione di garanzia dalla quale deriverebbe la responsabilita'  per
l'inquinamento  ambientale  contestato,  cessa  pacificamente  il  31
maggio 2005, come chiaramente indicato nel capo di imputazione;  allo
stato attuale la normativa applicabile in  tema  di  prescrizione  e'
quella antecedente alla legge 251/05, che  prevedeva  pur  sempre  un
termine massimo di 15 anni (anche se diversamente articolato: 10 anni
di  termine  ordinario,  aumentato  fino  alla  meta'  per  gli  atti
interdittivi, atti che nella specie ci  sono  gia'  stati  prima  del
decorso di tale termine, costituiti,  dalla  richiesta  di  rinvio  a
giudizio, dal decreto di  fissazione  dell'udienza  preliminare,  dal
decreto  che  dispone  il  giudizio),  salva  la  concessione   delle
attenuanti  generiche  ex  art.  62-bis  c.p.  (che   nella   vecchia
disciplina  influiva  sul  calcolo  della  pena  massima   e   quindi
sull'individuazione del termine  di  prescrizione),  concessione  che
pero' allo stato non e possibile prevedere, involgendo valutazioni di
merito   della   vicenda    che    necessitano    il    completamento
dell'istruttoria dibattimentale; in conclusione, allo  stato  attuale
della  normativa,  il  termine  di  prescrizione  per   le   condotte
contestate a Carlo Gentile sarebbe comunque di 15 anni, qualunque sia
la disciplina applicata. Un'eventuale declaratoria di  illegittimita'
costituzionale dell'art. 157, comma 6,  c.p.  comporterebbe,  invece,
che il termine di prescrizione massimo per il reato de quo sarebbe di
7 anni e 6 mesi e che quindi il regime di prescrizione introdotto con
la L. 251/05 sarebbe applicabile anche ai fatti antecedenti in  forza
dell'art. 10 comma 3  della  stessa  L.  251/05,  che  stabilisce  la
retroattivita'  della  nuova  disciplina  ove  piu'  favorevole  agli
imputati; dal che discenderebbe che, gia'  alla  data  attuale,  tale
termine sarebbe decorso per le condotte consumatesi  nel  maggio  del
2005, con la conseguente necessita' di immediata declaratoria ex art.
129 c.p.p. prima del termine del dibattimento. 
    Ma la questione e' rilevante anche per le posizioni  degli  altri
tre coimputati. 
    Per essi, in realta', la consumazione del reato e'  indicata  nel
capo di imputazione nel dicembre del 2008, data  in  cui  vi  sarebbe
stato l'ultimo rilievo da parte dell'ARPA Lazio che ha riscontrato la
presenza dell'agente  inquinante  (il  betaesaclorocicloesano)  nelle
acque del fiume Sacco, ove vi sarebbe confluito -  secondo  l'ipotesi
accusatoria - a causa delle omissioni colpose  degli  imputati.  Come
gia' rilevato nell'ordinanza del 22 ottobre 2015, peraltro, si tratta
di una data di consumazione la cui esattezza deve  essere  sottoposta
al vaglio  dell'istruttoria  dibattimentale,  soprattutto  alla  luce
della piu' recente giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione,  che
delinea il reato di disastro ambientale come un reato  istantaneo  ad
effetti permanenti, anticipandone la consumazione al momento  in  cui
viene posta in essere la condotta che determina la  prima  immissione
dell'agente inquinante nell'ambiente (si veda, per tutte  Cassa  sez.
1, 19 novembre 2014, n. 7941 sul caso Eternit); e' pur vero  che  nel
caso di specie -  come  emerge  chiaramente  dal  complesso  capo  di
imputazione - il reato e' contestato nella  forma  colposa  omissiva,
sicche' lo stesso puo' avere anche natura permanente, nella misura in
cui l'omissione contestata (in particolare l'avere omesso  l'adozione
di  cautele,  misure  di  sicurezza  e  controllo,   trattamenti   di
depurazione) si protragga fino all'adozione delle cautele in  ipotesi
disattese e continui a determinare un'immissione di un agente  nocivo
nell'ambiente; tuttavia, si tratta di un  punto  quantomeno  incerto,
dovendosi valutare - soprattutto in termini di  nesso  di  causalita'
con  l'evento  -  quali  siano  le  condotte   penalmente   rilevanti
ascrivibili agli odierni imputati e quindi quale sia la loro data  di
consumazione. E'  ben  possibile,  quindi,  alla  luce  della  citata
giurisprudenza di legittimita', che la data di consumazione del reato
di disastro colposo venga individuata in un'epoca anteriore  rispetto
a  quella  contestata  nell'imputazione;  eventualita',  questa,  che
appare in parte confermata dal fatto che  lo  stesso  GUP  presso  il
Tribunale di Velletri, in sede di udienza preliminare, ha pronunciato
sentenza di non luogo a procedere per il delitto di avvelenamento  di
acque ex articoli 452 e  439  c.p.  originariamente  contestato  agli
imputati per le medesime condotte, individuandone la data  ultima  di
consumazione nel maggio del 2005. 
    Orbene -  pur  in  una  simile  situazione  di  incertezza  sulla
corretta individuazione della data di consumazione  del  reato  -  e'
evidente la rilevanza della questione di legittimita'  costituzionale
qui  sollevata,  laddove  l'eventuale   accoglimento   della   stessa
determinerebbe un dimezzamento del termine di prescrizione del  reato
contestato, dagli attuali quindici anni a sette anni e sei mesi. 
    Infatti,  qualora  la  consumazione  venisse  retrodatata  ad  un
periodo non successivo a maggio del 2008, il termine di sette anni  e
mezzo sarebbe gia' decorso al momento della redazione della  presente
ordinanza (novembre 2015), con conseguente immediata declaratoria  di
prescrizione ex art. 129 c.p.p.. 
    Ma se anche risultasse corretta la data di consumazione  indicata
nel decreto  di  rinvio  a  giudizio  e  quindi  la  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale dell'art  157,  comma  6,  c.p.p.,  non
determinerebbe una immediata dichiarazione di estinzione  del  reato,
la stessa avrebbe comunque un  rilievo  decisivo  sul  prosieguo  del
dibattimento, influenzandone la scansione dei  tempi  di  trattazione
della ancora complessa istruttoria da svolgere (restano da  esaminare
i testimoni delle parti civili, quelli delle  difese  e  da  svolgere
l'eventuale esame degli imputati, nonche' la fase delle  conclusioni,
sicuramente molto lunga, visto l'elevato numero  di  parti  coinvolte
nel processo e la complessita' delle questioni  da  affrontare),  che
dovrebbe essere esaurita nell'arco di massimo sei mesi dalla  ripresa
del procedimento, per poter giungere in tempo utile ad una  decisione
nel merito.